Protezione internazionale e Informazioni sui Paesi d’Origine (COI): modelli europei e specificità italiane
Pubblichiamo il video del seminario dal titolo Protezione internazionale e Informazioni sui Paesi d’Origine (COI): modelli europei e specificità italiane che si è svolto on-line il 6 maggio 2020. L’evento sponsorizzato da ADIM (nella persona del suo coordinatore, Mario Savino) è stato organizzato e moderato dalle docenti di quattro Dipartimenti di Giurisprudenza: Flora Di Donato (Federico II di Napoli), Alice Riccardi (RomaTre), Adriana Di Stefano (Catania) e Francesca Biondi dal Monte (Sant’Anna di Pisa). Esso inoltre ha visto protagonisti operatori giuridici (Consigliere Antonio Di Marco, Corte di Appello di Napoli); funzionari EASO (Michele Gonnelli, COI officer, Malta); ricercatori (Damian Rosset, Université de Neuchâtel) e docenti impegnati nella cd. Terza Missione dell’Università (Angelo Abignente, Federico II di Napoli).
Perché occuparsi di protezione internazionale e acquisizione di COI?
Il sistema europeo di protezione internazionale è un sistema complesso, in linea di principio calibrato sulla specificità dei destinatati, persone vulnerabili per ragioni contestuali, di provenienza geografica, per questioni di genere, salute, etc. La peculiarità dei destinatari – che nella maggior parte dei casi arrivano in Europa e in Italia senza documenti – fa sì che vi sia un doppio sistema di accertamento dell’identità e della credibilità del richiedente asilo con una sorta di attenuazione dell’onere della prova a suo favore. Dove però attenuazione non significa necessariamente “facilitazione” dal momento che il racconto del richiedente asilo per essere credibile deve essere coerente di per sé (non presentare contraddizioni al suo interno) e collimare anche con le informazioni più generali che si posseggono circa i Paesi di origine, le c.d. COI (country of origin information). Queste ultime possono essere acquisite da esperti fact-finders che fanno parte di unità specializzate create ad hoc dai singoli Paesi. Oppure può trattarsi di informazioni comunemente rese disponibili da organizzazioni come UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Uniti), EASO (European Asylum Support Officer), etc.. A colmare il possibile gap che può verificarsi tra le versioni dei fatti narrati dalla persona e le informazioni circa i Paesi d’origine è l’obbligo di verifica delle informazioni, non solo a carico del richiedente asilo ma anche dell’esaminatore, nel sistema italiano. Vale a dire che l’organo che conduce l’inchiesta (la Commissione territoriale o l’autorità giudicante, in caso di ricorso giudiziario), oltre alla parte stessa, possono attivarsi per provare diversamente i fatti. A fare chiarezza sul sistema probatorio italiano, precisando anche il valore ed il ruolo della normativa internazionale su quella nazionale, è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione del 2008 (n. 27310) che rafforza e valorizza i poteri istruttori sia del giudice, riconoscendo “all’autorità esaminante un ruolo attivo ed integrativo nell’istruzione della domanda”.
Dato dunque il ruolo chiave delle COI nella procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, le domande che hanno animato il nostro seminario sono state: Che cosa sono le COI? Come si acquisiscono? Esistono degli standard europei per la redazione di una COI? Qual è la funzione di un organismo quale EASO in Europa? Che cosa vuol dire che l’Italia abbia una sola unità COI al livello del Ministero dell’Interno? Qual è l’impatto di questa situazione sull’attività degli inquirenti? Cosa accade in altri Paesi come la Svizzera o la Francia che hanno una doppia unità COI e addirittura i propri analisti – i cd. fact finders?
A queste domande hanno risposto in maniera ampia ed articolata, Michele Gonnelli – che ha illustrato la metodologia EASO, gli standards qualitativi che esso propone in vista di una possibile armonizzazione della disciplina europea della protezione internazionale – e Damian Rosset per quanto riguarda il modello svizzero. Quest’ultimo se, da un lato, ha spiegato la ratio dell’esistenza nel sistema svizzero di una duplice unità COI con l’esigenza di garantire l’indipendenza operativa e decisionale degli organi amministrativi e giudiziari, facendo ricorso a fonti differenziate e calibrate sui singoli Paesi, dall’altro ha avanzato l’ipotesi che la funzione dell’Unità COI potrebbe essere, tutto sommato, quella di legittimare le scelte della politica vale a dire della SEM (Segreteria di Stato alle Migrazioni). Nella veste di magistrato presso la Corte di Appello di Napoli, il Consigliere Antonio di Marco ha, a sua volta, messo in evidenza le difficoltà degli inquirenti a reperire informazioni che vanno costantemente attualizzate e calibrate sulla specificità dei casi. Informazioni non sempre pre-esistenti ma da fabbricare a misura del singolo caso e che nella maggior parte dei casi sono in lingua straniera. Di qui il dibattito sul ruolo che le cliniche hanno nell’ambito della cd. Terza missione dell’Università – ruolo di cerniera tra istituzioni e società come sottolineato da Angelo Abigente – e nell’acquisizione di COI: Quale ruolo possono avere le cliniche nel sopperire a lacune sistemiche nell’acquisizione di COI? Come armonizzare la ricerca in materia di COI tra Istituzioni e cliniche legali? Per continuare a dibattere su questi temi, abbiamo previsto successivi incontri e gruppi di lavoro interdipartimentali col coinvolgimento di attori istituzionali impegnati sul terreno della pratica.
1. Introduzione e saluti – Metodo di acquisizione COI in Europa
2. Metodo di acquisizione COI in Svizzera e in Italia
3. Ruolo delle cliniche legali in materia di acquisizione di COI e Terza Missione