Le rassegne dell'Accademia Diritto e Migrazioni - ADiM

La sezione dedicata alle rassegne di ADiM fornisce ogni mese:

  • una selezione di articoli di stampa (“Rassegna stampa”) e di pubblicazioni scientifiche (“Rassegna scientifica”) ritenuti utili a promuovere un dibattito pubblico e scientifico informato;
  • un aggiornamento sulle principali pronunce della giurisprudenza internazionale, europea e nazionale (”Rassegna giurisprudenziale”).

 

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RASSEGNA STAMPA - ADiM

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RASSEGNE SCIENTIFICHE - ADiM

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Libri

Rasika Jayasuriya, Children, Human Rights and Temporary Labour Migration. Protecting the Child-Parent Relationship, Routledge, 2023

This book focuses on the neglected yet critical issue of how the global migration of millions of parents as low-waged migrant workers impacts the rights of their children under international human rights law. The work provides a systematic analysis and critique of how the restrictive features of policies governing temporary labour migration interfere with provisions of the Convention on the Rights of the Child that protect the child-parent relationship and parental role in children’s lives. Combining social and legal research, it identifies both potential harms to children’s well-being caused by prolonged child-parent separation and State duties to protect this relationship, which is deliberately disrupted by temporary labour migration policies. The book boldly argues that States benefitting from the labour of migrant workers share responsibility under international human rights law to mitigate harms to the children of these workers, including by supporting effective measures to maintain transnational child-parent relationships. It identifies measures to incorporate children’s best interests into temporary labour migration policies, offering ways to reduce interferences with children’s family rights. This book fills a gap that emerges at the intersection of child rights studies, migration research and existing literature on the purported nexus between labour migration and international development. It will be a valuable resource for academics, researchers and policymakers working in these areas.

 

Bruno Nascimbene, Nationality Law and the Law of Regional Integration Organisation. Towards New Residence Status?, Brill, 2022

This study presents a historical and conceptual reconstruction of nationality law and offers an analysis of the issues involved, now and in the future. The author discusses definitions of nationality and citizenship in international law and in the law of certain regional organisations, in particular the European Union. He investigates whether these definitions have evolved and, if so, how; whether residence has taken on a more prominent role alongside nationality; and whether the EU can be taken as a model for other regional organisations in defining resident status.

 

Articoli

Marcella Cometti, La risposta della Commissione europea al “deterioramento” del diritto di asilo in Grecia: riflessioni sull’attenuato attivismo dell’istituzione “guardiana dei trattati”, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2022, n. 3

Il sistema di asilo greco, in particolar modo da febbraio-marzo 2020 a seguito della riapertura delle frontiere da parte della Turchia, versa in una condizione di profondo deterioramento in termini di tutela dei diritti fondamentali. Inoltre, l’accesso alla protezione internazionale è quotidianamente ostacolato dalle pratiche di respingimento messe in atto dalla Guardia di frontiera e costiera greca avvenute, per un determinato arco temporale, nello stesso contesto di operazioni dell’Agenzia FRONTEX. A fronte di questo quadro (illustrato al par. 2), nel contributo si è svolta un’analisi della mobilitazione della società civile e del Parlamento europeo volta a stimolare una qualche reazione della Commissione europea quale “Guardiana dei Trattati”. La risposta dell’Istituzione (par. 3), derivata da uno studio trasversale dei documenti con cui la stessa replica alle sollecitazioni di cui sopra, delinea da un lato una sorta di inazione-osservazione dello status quo, dall’altro un qual certo “attenuato attivismo” nel tentare di porre rimedio agli inadempimenti degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea. Invero, le misure alternative alla procedura di infrazione (quali i Pilot, la Task Force e il dialogo informale con le autorità dello Stato membro) messe in atto dalla Commissione europea sembrano sortire deboli effetti a fronte di gravi violazioni (par. 4). In questa cornice, al fine di ragionare su “vie rimediali” differenti e che non richiedano un coinvolgimento diretto della Commissione (par. 5), si volge lo sguardo allo strumento della condizionalità dei fondi e al c.d. “uso alternativo” del rinvio pregiudiziale d’interpretazione3 il quale, d’altro canto, sembra di difficile realizzazione in Grecia, ove l’istituto non è mai stato attivato con riferimento alla normativa nazionale in materia di asilo e immigrazione. Rimane, così, in capo al Parlamento europeo, grazie al suo ruolo di controllore politico, l’arduo compito di sorvegliare sull’operato della Commissione e mettere in atto tutte le misure utili a esercitare una qual certa influenza su di essa, affinché non si “dimentichi” del ruolo di guardiana affidatole dai Trattati.

 

Francesca Di Gianni, La migrazione legale per motivi di lavoro a due anni dalla presentazione del “nuovo patto sulla migrazione e l’asilo”: una riforma (in)compiuta?, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2022, n. 3

Gli eventi susseguitisi negli ultimi due anni hanno confermato più che mai la necessità di riforme strutturali del Sistema europeo comune di asilo (SECA) dell’Unione europea (UE). Il conflitto tra Russia e Ucraina e il conseguente sfollamento di milioni di persone verso l’UE, la continua pressione sulle rotte del Mediterraneo e dei Balcani occidentali, unitamente agli effetti prodotti sulla gestione delle frontiere a seguito dell’abolizione delle restrizioni introdotte per fronteggiare la pandemia da Covid-19 hanno sollevato sfide giuridiche ed operative senza precedenti. Il lavoro svolto dall’Unione nell’ultimo periodo ha sicuramente creato una dinamica positiva che ha reso possibili sostanziali progressi rispetto al programma di riforma prefigurato dal “Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo”, presentato dalla Commissione europea il 23 settembre 2020 e teso a delineare un approccio globale di gestione dei flussi migratori basato sulla “interdipendenza tra le politiche nei settori della migrazione, dell’asilo, della gestione delle frontiere e dell’integrazione” . Un “nuovo quadro europeo” che nasceva non solo dall’esigenza di costruire strumenti per fronteggiare situazioni di crisi e di pressione, ma anche per poter fornire “una risposta adeguata alle opportunità e alle sfide poste dai tempi normali”.

 

Mirko Forti, Questioni giuridiche e problemi di tutela dei diritti fondamentali nella risposta dell’Unione europea alle pratiche di strumentalizzazione dei flussi migratori, in Freedom, Security & Justice: European Legal Studies, 2022, n. 3

La Bielorussia ha recentemente adottato delle politiche di strumentalizzazione delle persone migranti volte a destabilizzare l’Unione europea (UE) e i suoi Paesi membri. Secondo la Commissione europea, sono stati ben 7698 gli individui ad aver oltrepassato i confini bielorussi per entrare in UE tra l’inizio dell’anno e il 16 novembre 2021. Si è quindi registrato un notevole aumento rispetto alle 257 unità del 2020. La pressione migratoria dalla Bielorussia ai confini europei è andata successivamente attenuandosi nei primi mesi del 2022 , anche a causa dello scoppio della crisi ucraina che ha radicalmente cambiato le priorità geopolitiche degli attori statali coinvolti. 3817 migranti iracheni sono stati rimpatriati dalle autorità bielorusse, così come la Lituania ha provveduto a ricollocarne in patria 112. Sono stati comunque registrati dei tentativi di attraversamento irregolare delle frontiere europee da cittadini di Paesi terzi provenienti dalla Bielorussia, ma senza raggiungere le cifre toccate nella seconda metà del 2021. Il presente articolo vuole riflettere sulle implicazioni giuridiche e le conseguenze socio-politiche derivanti dalla risposta dell’UE alle azioni di strumentalizzazione dei flussi migratori portate avanti dalla Bielorussia. Lo scopo è comprendere se la reazione delle istituzioni europee si è rivelata adeguata a proteggere i diritti delle persone migranti, diventate inconsapevole strumento di aggressione geopolitica, o se è prevalsa la volontà di tutelare gli interessi dei singoli Stati membri dell’UE.

 

Federica Infantino, The interdependency of border bureaucracies and mobility intermediaries: a street-level view of migration infrastructuring, in Comparative Migration Studies, 2023, vol. 11

Building on the case of visa procedures, this article analyses the relationship between border bureaucracies and intermediaries understood as actors, organisations and knowledge that facilitate, shape, and enable human mobility. I take the street-level view to shed light on the interplay of multiple dimensions and logics, which affects how people are mobile. I argue that the analytical lens of interdependency between dimensions and logics that characterize bureaucracies and intermediaries makes sense of migration infrastructuring processes at the street-level. The case of visa policies and practices, which are characterized by the twofold objective of stemming and spurring mobility, is particularly apt to put forward that intermediaries’ socio-economic activities, which bridge borders, by facilitating, shaping, and sustaining mobility, respond not just to the policies and practices that build and reinforce borders but also to those soliciting certain kinds of mobility. The analysis builds on the comparison of ethnographic literature to put forward three empirical situations that exemplify the dynamics of interdependency: Local guides and experts who develop in response to the opacity of bureaucratic procedures and to the distance between visa applicants and state actors; The providers of pieces of documentation, whether counterfeit or ‘real-but-fake’, who respond to the impossibility of complying with bureaucratic requirements and to restrictive border regimes; Authorized administrative agencies, tour operators, travel agencies, and agencies that facilitate the supplying of specific kinds of workforce, who respond to the objective of soliciting the mobility of tourists, businessmen and workers. The street-level view of migration infrastructuring processes connects the micro-perspective of the trajectory of individuals to macro structures such as policies and drivers of international mobility. The investigation of the effectiveness of these actors and activities in obtaining visas, on which further research could systematically focus, shows that they might produce immobility as well. In a nutshell, (im)mobility also results from the interplay between border bureaucracies and mobility intermediaries.

 

Dimitry V. Kochenov, Sarah Ganty, EU Lawlessness Law: Europe’s Passport Apartheid From Indifference To Torture and Killing, in Jean Monnet Working Paper (NYU Law School), 2023

We take a close look at the most important legal techniques deployed by the European Union to make sure that the whole spectrum of denying non-citizens rights – from dignity to the right to life – is never presented as a violation of EU law even in the cases when dozens of thousands are hunted and detained by proxies while the Mediterranean has been turned by EU’s and Member States’ incessant efforts into a mass grave. Making this possible is the work of what we term ‘EU lawlessness law’. We explain how EU lawlessness law operates, how the EU pays for it, how it passes legal scrutiny and what its objectives are. We outline why it is a grave violation of EU values and why deploying legality to ensure that the most significant rights are turned into fiction is an affront to the Rule of Law. To present a complete picture of EU lawlessness law, we delve into the treatment of non-Europeans both inside and outside the Union. The core principle is always there and it is the principle of passport apartheid. Its starting point is that citizenships, blood-based statuses of attachment to public authority distributed at birth, are among the most significant building blocks of EU’s world-making by law. In the EU, there is usually no need to break the law to deny the foreigner crucial rights: apartheid européen works well from the internal market to the Belarusian forest and an EU-funded Libyan prison for the innocents, who committed no crime. This contribution elaborates on this starting point using two examples: the near complete exclusion of non-EU citizens from the fundamental freedoms in the EU from the inception of the Union; and the pro-active stance of the Union and the Member States in ensuring that the right to seek protection in the EU is turned into an unworkable proclamation.

 

Corey Robinson, Offshoring and Outsourcing Anti-Smuggling Policy: Capacity Building and the Geopolitics of Migrant Smuggling, in Geopolitics, 2023

Using an analytic of problematisation that incorporates insights from governmentality studies and migration studies, this article documents and conceptualises the role of capacity building in the offshoring and outsourcing of Canada’s anti-smuggling policy. I examine the problematisation of migrant smuggling in interviews, access to information requests and publicly available texts to show how, why and with what effects, the Canadian government, in collaboration with UN agencies, engaged in capacity building across Southeast Asia and West Africa to combat migrant smuggling and interdict migrant vessels before they departed for Canada. I argue that under the technocratic banner of capacity building, anti-smuggling policy constitutes migrant smuggling as an object of discourse. Anti-smuggling policy, I contend, frames, rationalises and obscures the interdiction of refugees and the externalisation of protection as politically neutral, technocratic efforts to build capacity to combat migrant smuggling. Though capacity building may include apparently positive measures to enhance international cooperation, if it frustrates access to asylum, as this article suggests, it can be said to externalise international protection responsibilities, contrary to the principles outlined in the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration and the Global Compact on Refugees.

 

Zeynep Şahin-Mencütek, Gerasimos Tsourapas, When Do States Repatriate Refugees? Evidence from the Middle East, in Journal of Global Security Studies, 2022, vol. 8, n. 1

Which conditions affect whether a state will choose to repatriate forcibly displaced populations residing within its borders? One of the most pressing issues related to the protracted Syrian refugee situation concerns the future of over 5 million Syrians who sought shelter in neighboring states. With host countries pursuing disparate strategies on Syrians’ return, the existing literature has yet to provide a framework that is able to account for variation on host states’ policies toward refugee repatriation. In this paper, we expand upon the concept of the refugee rentier state to theorize inductively upon the conditions shaping states’ policymaking on repatriation. We draw upon multi-sited fieldwork across the three major refugee host states in the Eastern Mediterranean (Jordan, Lebanon, and Turkey) to establish that a refugee rentier state’s strategy is driven by domestic political economy costs related to the hosting of refugee populations as well as its geostrategic interests vis-à-vis these refugees’ country of origin. Using a comparative case study approach, we note how a state is more likely to pursue a blackmailing strategy based on threats if it faces high domestic political economy costs and adopts an interventionist policy vis-à-vis the sending state, as in the case of Turkey. Otherwise, it is more likely to pursue a backscratching strategy based on bargains, as in the case of Lebanon and Jordan. We conclude with a discussion on how this framework sheds light on refugee host states’ repatriation policies on a global scale.

 

Post

Libri

Mary Bosworth and Lucia Zedner, Privatising Border Control. Law at the Limits of the Sovereign State, Oxford, 2023

In recent years, many breaches of immigration law have been criminalised. Foreign nationals are now routinely identified in court and in prison as subjects for deportation. Police at the border and within the territory refer foreign suspects to immigration authorities for expulsion. Within the immigration system, new institutions and practices rely on criminal justice logic and methods. In these examples, it is not the state that controls the national border: instead, it is often privately contracted companies. This collection of essays explores the growing use of the private sector and private actors in border control and its implications for our understanding of state sovereignty and citizenship. Privatising Border Control is an important empirical and theoretical contribution to the growing, interdisciplinary body of scholarship on border control. It also contributes to the academic inquiry into the growing privatisation of policing and punishment. These domains, once regarded as central to the state’s police power and its monopoly on violence, are increasingly outsourced to private providers. With contributions from scholars across a range of jurisdictions and disciplines, including Criminology, Law, and Political Science, Privatising Border Control provides a novel and comparative account of contemporary border control policy and practice. This is a must-read for academics, practitioners, and policymakers interested in immigration law and the growing use of the private sector and private actors in border control.

 

Anna K. Boucher, Patterns of Exploitation. Understanding Migrant Worker Rights in Advanced Democracies, Oxford, 2023

Numbering an estimated 164 million globally, migrant workers are an essential component of contemporary businesses. Despite their number and indispensability in the global economy, migrant workers frequently lack the legal protections enjoyed by other workers. They work in sectors where jobs are isolated, and they lack advocates and trade union representation. They may also be undocumented, further eroding their capacity to advance their rights. Migrant workers suffer workplace violations that range from underpayment of wages and unsafe work conditions to sexual assault and industrial manslaughter. How much does this exploitation vary across different countries? What explains differences and similarities among migrant worker destinations? In Patterns of Exploitation, Anna K. Boucher answers these questions by looking at workplace violations across four major immigration countries: the United States, Australia, Canada, and the United Kingdom. Incorporating interviews, the Migrant Worker Rights Database, and in-depth analysis of court cases, Boucher uses legal storytelling to document individual migrant experiences and assess the patterns of exploitation that emerge in case narratives. Migrant experiences vary across ethnicity, gender, occupational sector, visa status, trade union membership, and enforcement policy, as well as the industrial relations systems within a destination country. Boucher lays out the kinds of exploitation to which migrants are subjected, the patterns discernible within migrant workers’ experiences, and the solutions that can best protect migrants against workplace violations. This unique mixed-methods approach provides a novel understanding of migrant workplace violations across a variety of immigration contexts.

 

Articoli

Marco Benvenuti, Il trattenimento degli stranieri nei Centri di permanenza per i rimpatri e la c.d. direttiva Lamorgese. Problemi vecchi e prospettive nuove per i provvedimenti di convalida dei giudici di pace, in Questione Giustizia, 13 febbraio 2022

Credo che la scelta della Scuola superiore della magistratura di organizzare, in collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, una sessione formativa sul trattenimento degli stranieri meriti un duplice plauso, sia per il tema in sé, sia per i partecipanti, in larga misura giudici di pace. Questi ultimi, a ben guardare, si occupano delle limitazioni della libertà personale degli stranieri sin dal 2004, in luogo del tribunale in composizione monocratica, e il loro ruolo è da allora oggetto di unanimi rilievi critici da parte dei commentatori. Chi vi parla è tra questi, sulla scorta di plurime ricerche empiriche da cui emergono provvedimenti giurisdizionali troppo spesso corredati da motivazioni generiche, stereotipe e acritiche.

 

Sergio Carrera, Davide Colombi, Roberto Cortinovis, Policing Search and Rescue NGOs in the Mediterranean, Does Justice nd at Sea?, in CEPS, 2023, n. 4

The policing of NGOs and human rights defenders providing humanitarian assistance to asylum seekers and immigrants, as well as search and rescue (SAR) in the Mediterranean has reached a new low due to the current far-right Italian government. This CEPS In-Depth Analysis paper examines the Italian government’s practices of responsibility evasion and selective disembarkation of SAR NGO vessels, the ensuing diplomatic row with the French government over the 2022 Ocean Viking affair, and the introduction of a Code of Conduct sanctioning SAR NGOs in January 2023. The paper argues that upholding justice at sea is not a ‘pick and choose’ game for governments and migration policymakers. Some of the human rights at stake are absolute in nature, and therefore accept no derogation or weighing with other policy interests. Policing the work of civil society actors and a policy of selective disembarkation run contrary to EU law and constitute clear indicators of a systematic threat to national and EU constitutional principles. This calls for effective and timely EU enforcement measures, to uphold a justice-centred approach that fully respects the dignity of every person and the safeguarding of the rule of law, democracy and fundamental rights.

 

Laura Di Gianfrancesco, Pushback Practices and the Prohibition of Collective Expulsion of Aliens before the ECtHR: One Step Forward, Two Steps Back, in Diritti umani e diritto internazionale, 2022, n. 3

On 18 November 2021, the ECtHR delivered its judgment in the case M.H. and Others v. Croatia, addressing violations committed by a State against migrants within the ‘Balkan route’. This article focuses on the Court’s reasoning concerning the prohibition of collective expulsion of aliens under Article 4, Protocol 4 ECHR and highlights both merits and setbacks of the judgment. On the one hand, the Court’s definition of the burden and standard of proof in cases of unofficial summary expulsions sets a positive precedent for national and international case-law dealing with asymmetrical evidence availability in migration contexts. On the other hand, the adoption of an expansive interpretation of the controversial exception concerning the applicants’ ‘own culpable conduct’ by the Court risks legitimizing an arbitrary distinction between regular and irregular migrants in the protection against collective expulsions.

 

Nicholas R. Micinski, Philippe Bourbeau, Capacity Building as Intervention-Lite: Migration Management and the Global Compacts, in Geopolitics, 2023

Many states lack the standing capacity – housing, food, medical, or legal assistance – if thousands of people cross their border in one day. In addition, developing countries often lack the administrative capacity, expertise, and legal frameworks to process immigration or asylum applications and issue visas or refugee statuses. In response, the United Nations and other international organisations (IOs) propose to build the capacity of states through direct aid, training schemes, consultancies, twinning programmes, and start-up funds. The 2018 Global Compacts on Refugees (GCR) and the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (GCM) were in part created with the mandates to ‘build capacity’ in designated states. This article examines how the meaning of capacity building has changed in migration management over the last 70 years. First, we present a brief history of capacity building and theorise capacity building as a form of intervention-lite that relies on the invitation by the host state and reaffirms an absolutist interpretation of sovereignty. The emerging norm of ‘well-managed migration’ asserts that if a state is not able to make migration safe, then the international community has a responsibility to provide resources and training to those national institutions. The article traces this logic of intervention-lite and the norm of ‘well-managed migration’ in the Global Compacts, particularly UNHCR Asylum Capacity Support Group and UN Network on Migration’s capacity building mechanism. Methodologically, we draw on elite interviews, case studies, policy analysis, project workplans, evaluations, UN white papers and reports to examine the concept of ‘capacity building’ as framed in the Global Compacts and its implications for migration management and sovereignty. While the compacts affirm state responsibility for migration management, the GCR and GCM increase the capacity of international organisations to intervene in domestic institutions, rather than increase the capacity of national institutions

 

Juan Santos Vara, Flexible Solidarity in the New Pact on Migration and Asylum: A New Form of Differentiated Integration?, in European Papers, 2022, vol. 7, n. 3

Flexible solidarity is presented by the Commission in the New Pact on Migration and Asy- lum as a solution to break the deadlock in the reform of the EU asylum policy. The aim of this Article is to analyse to what extent the development of flexible solidarity in the field of asylum will allow the EU to address the shortcomings that the CEAS is facing today. The key question is whether differen- tiation as regards solidarity serves to further develop the EU asylum policy by introducing a useful degree of flexibility to accommodate the different interests of the Member States or the multiplica- tion of forms of solidarity will lead in the long run to more disintegration. It will also be assessed to what extent the gradual approach followed by the French Presidency of the Council in the first se- mester of 2022 will allow to make concrete progress on the New Pact on Migration and Asylum and achieve the ambition of a comprehensive asylum and migration policy at EU level in the future.

 

Daniela Vitiello, Poteri operativi, accountability e accesso alla giustizia nella gestione integrata delle frontiere esterne dell’Unione europea. Una prospettiva sistemica, in AISDUE, 2023, n. 10

La gestione integrata delle frontiere esterne è uno degli ambiti di competenza dell’Unione in cui più incisiva è stata la sperimentazione di modelli di “administration des choses” in cui l’expertise tecnico-operativa è in grado di spiazzare il principio democratico. Al contempo, orientamento operativo della cooperazione su cui il governo delle frontiere esterne europee poggia conduce a uno scollamento della funzione di attuazione del diritto dell’Unione da due elementi cardine dell’ordinamento sovranazionale: lo stato di diritto e l’effettività della tutela giurisdizionale.

 

Post

Emiliya Bratanova van Harten, The new EU Resettlement Framework: the Ugly Duckling of the EU asylum acquis?, in EU Law Analysis, 3 febbraio 2023

Many may have been surprised by the deal struck between the European Parliament and the Council of the EU on key migration and asylum instruments on 15 December 2022. More concretely, these are the Reception Conditions Directive and the Resettlement Framework Regulation (the Regulation, the Framework). While this development is welcome in view of the six-year delay in the reform of the Common European Asylum System, it also raises some important questions. This post focuses on the EU Resettlement Framework, as an analysis of some aspects of the Reception Conditions Directive is already available here

 

Eleonora Frasca, Francesco Luigi Gatta, The EU Action Plan for the Central Mediterranean: Everybody knows that the boat is leaking, in EU Migration Law Blog, 15 febbraio 2023

While the New Pact on Migration and Asylum remains stuck in Brussels between negotiations and renewals of the Council’s presidencies, ‘emergencies’ routinely shaken the EU migration and asylum governance and prompt a plethora of soft law solutions. These acts have been mushrooming in the last few years. The most recent example is the EU Action Plan for the Central Mediterranean, presented on 21 November 2022 by the Commissioner for Home Affairs and later endorsed by the extraordinary JHA Council on 25 November 2022. It lists actions ‘to address the immediate and ongoing challenges along the Central Mediterranean route’.

 

Anna Højberg Høgenhaug, Departing from Hostile Refugee Landscapes. Women and girls from Afghanistan to be granted asylum in Denmark and Sweden, in Verfassungsblog, 23 febbraio 2023

In December 2022, the Swedish Migration Agency estimated that the Taliban’s conquest of Afghanistan has made the lives of Afghan women and girls so difficult that it counts as persecution based on gender. Against this background, the Migration Agency announced that all women and girls from Afghanistan are eligible to refugee status and a three-year residence permit in Sweden. On 30 January 2023, the Danish Refugee Appeals Board issued a similar announcement, in which the Board stated that women and girls from Afghanistan, as a starting point, must be granted refugee status solely based on their gender. The Refugee Appeals Board’s decision follows the European Union Asylum Agency’s (EUAA) conclusion, which was published on 25 January 2023.

 

Neha Jain, Weaponized Citizenship: Should international law restrict oppressive nationality attribution?, in EUI Global Citizenship Observatory, 7 febbraio 2023

Citizenship has been described by Rogers Brubaker as “an international filing system, a mechanism for allocating persons to states”, but if so, this filing system has few centrally co-ordinated rules at the international level. And even the sparse international legal architecture that exists mostly assumes that the problem to be addressed is not the attribution of citizenship but rather its absence, i.e. statelessness. In other words, citizenship is considered an aspirational status that entitles its holder to a set of rights that are to be secured and perfected, including through the cautious deployment of international law instruments and institutions relating to human rights. (Spiro, 2017) But what when citizenship, and its international counterpart, nationality, begins to be wielded not as a shield that protects the dignity and personhood of its bearer but rather as a sword that states can command to harm or to oppress? Should international law continue to refrain from intervening in a status the attribution of which is regarded as a sovereign prerogative? This essay argues that international law should do more in situations of oppressive nationality. Nationality attribution can be oppressive for both individuals and states. In the former case, it serves to denude an individual of rights they would have enjoyed but for the attribution. In the latter situation, it functions as a weapon to threaten or destabilise vital interests of other states.

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Protezione internazionaleECtHR, Second Section, judgement 20 December 2022, S.H. v. Malta, application no 37241/21

The applicant is a Bangladeshi national, who arrived in Malta by boat in September 2019 and was immediately placed in detention. He lodged an application for international protection, submitting that he was a journalist in Bangladesh, who had been persecuted after he reported on electoral irregularities. The case concerns the procedure leading to the refusal of his asylum requests. His removal to Bangladesh was stayed in August 2021 when the ECtHR issued an urgent interim measure to the Government of Malta. Relying on art. 3 of the Convention, the applicant complains that the Maltese authorities failed to properly assess his claims, in particular, the risks that he, as a journalist, would face upon being returned to Bangladesh. He also alleges under art. 13 (right to an effective remedy), taken in conjunction with art. 3, that the asylum procedure was deficient, in particular regarding his access to legal counsel, delays and a failure to examine the merits of his case. Addressing the complaints under art. 13, the Court has declared the lack of access to legal assistance for people in Malta’s detention centres including the applicant, while adding that access to such assistance was further reduced during the Covid-19 pandemic. Second, the Court of Strasbourg reiterated the principle of benefit of doubt that needs to be accorded to asylum applicants while assessing their credibility, especially considering that in the present case the applicant was legally unrepresented and detained. Third, the Court has ruled that Malta should have provided detailed reasons as to why the applicant’s evidence has been disregarded. Fourth, the ECtHR stated that the appeals were superficial because the national decisions were taken within twenty-four hours and resulted in brief stereotype decisions. Fifth, the Court has stated that the applicant was informed about his first appeal decision several months after the ruling, which discloses that the communication system was clearly deficient. Lastly, the Court has highlighted that Malta’s constitutional redress is not an appropriate remedy as it has no suspensive effect. Within this context, the Court has decided that the applicant had no access to an effective remedy under art.13 for the purposes of his claim under art. 3. In conclusion, the Court has found that there would be a violation of art. 3 if the applicant were to be removed to Bangladesh without a fresh assessment of his claim that, as a journalist who reported on the 2018 election irregularities, he would be at risk of treatment contrary to art. 3 if returned.

 

Regolamento Dublino III CGUE, Prima Sezione, sentenza 12 gennaio 2023, Paesi Bassi c. V. e F.; K. c. Paesi Bassi, cause riunite C‑323/21, C‑324/21 e C‑325/21

La Corte di Lussemburgo ha stabilito che gli artt. 23 e 29 del c.d. Regolamento Dublino III  devono essere interpretati nel senso che, quando il termine per il trasferimento di un cittadino di un paese terzo è iniziato a decorrere tra uno Stato membro richiesto e un primo Stato membro richiedente, la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino di un paese terzo è trasferita allo Stato membro richiedente a motivo della scadenza del suddetto termine; ciò vale anche anche se nel frattempo detto cittadino ha presentato in un terzo Stato membro una nuova domanda di protezione internazionale che ha portato all’accoglimento, da parte dello Stato membro richiesto, di una domanda di ripresa in carico presentata da tale terzo Stato membro (purché detta competenza non sia stata trasferita al suddetto terzo Stato membro a motivo della scadenza di uno dei termini previsti nel suddetto art. 23). A seguito di un siffatto trasferimento di detta competenza, lo Stato membro in cui si trova il medesimo interessato non può procedere al trasferimento di quest’ultimo verso uno Stato membro diverso dallo Stato membro di nuova competenza, ma può, invece, nel rispetto dei termini previsti dal Regolamento Dublino, presentare una richiesta di ripresa in carico a quest’ultimo Stato membro. Inoltre, la Corte ha sancito che un cittadino di un paese terzo che abbia presentato una domanda di protezione internazionale successivamente in tre Stati membri deve poter disporre (nel terzo di tali Stati membri) di un mezzo di ricorso effettivo e rapido che gli consenta di avvalersi del fatto che la competenza a esaminare la sua domanda è stata trasferita – a motivo della scadenza del termine di trasferimento previsto dal Regolamento Dublino III – al secondo di detti Stati membri.

 

Trattenimento — Corte di cassazione, Sesta sezione civile, ordinanza 11 gennaio 2023, n. 504

Secondo gli Ermellini, il giudizio di convalida del trattenimento dello straniero presso un C.P.R. ha oggetto limitato alla verifica di proporzionalità e adeguatezza delle misure disposte dall’autorità di pubblica sicurezza in attesa del rimpatrio, con limitazione della materia del contendere del giudizio all’esame dei requisiti di merito assunti a fondamento della decisione iniziale di trattenimento dell’immigrato. Nondimeno, il trattenimento dello straniero che non possa essere allontanato coattivamente contestualmente all’espulsione è misura di privazione della libertà personale, che richiede la sussistenza delle condizioni giustificative previste dalla legge, secondo una modulazione dei tempi rigidamente predeterminata; sicché, in virtù del rango costituzionale e della natura inviolabile del diritto inciso, la cui conformazione e concreta limitazione è garantita dalla riserva assoluta di legge prevista dall’art. 13 Cost. Inoltre, la Cassazione ricorda che la delicatezza del vaglio giurisdizionale, in ragione del rango del diritto inciso, emerge anche dalla giurisprudenza unionale, la quale ha di recente chiarito che l’art. 15, para. 2 e 3, della direttiva n. 2008/115/CE (c.d. “Direttiva Rimpatri”), l’art. 9, co. 3 e 5, della direttiva 2013/33/UE (c.d. “Direttiva Accoglienza”) nonchè l’art. 28, para. 4, del Regolamento (UE) n. 604/2013 (“Regolamento Dublino III”), devono essere interpretati nel senso che il controllo, da parte di un’autorità giudiziaria, del rispetto delle condizioni di legalità in base al diritto dell’Unione del trattenimento, assimilabile a detenzione, di un cittadino di un paese terzo deve indurre tale autorità a sollevare d’ufficio, sulla base degli elementi della fascicolo portato alla sua conoscenza, l’eventuale inosservanza di una condizione di legittimità, sebbene non invocata dall’interessato (Corte giust., grande sezione, cause C-704/20 e C-39/21)

 

Cittadinanza Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 28 dicembre 2022, n. 11512

Qualora, nell’ambito della procedura volta al rilascio della concessione di cittadinanza italiana, lo straniero abbia prodotto documentazione con legalizzazioni poi rivelatesi contraffatte, non spetta all’Amministrazione provare che l’interessato, il quale si limita ad allegare la propria estraneità, fosse effettivamente a conoscenza di tale falsità, né la stessa Amministrazione è tenuta a considerare il successivo deposito di certificati con legalizzazioni autentiche. Sotto il primo profilo, pur volendo riconoscere la possibilità per lo straniero di dimostrare la propria estraneità rispetto alla falsità riscontrata, vi è da dire che tale onere ricade, in maniera stringente ed esclusiva, sullo stesso e non certo sull’amministrazione procedente, proprio in ragione dei generali e fondamentali principi in materia di riparto dell’onere probatorio.

 

 

Misure di accoglienza TAR Veneto, Sezione Terza, sentenza 16 gennaio 2022, n. 44

Il ricorrente, cittadino di origine afgana, aveva manifestato la volontà di richiedere il riconoscimento della protezione internazionale, dichiarandosi in stato di indigenza, così da poter essere ammesso al sistema di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale, ai sensi del D.lgs. 142/2015. Sebbene la Prefettura competente avesse dato avvio al relativo procedimento, nessuna determinazione era stata assunta nei confronti del ricorrente per quanto riguarda l’ammissione ad un centro di accoglienza. Seguiva la diffida inoltrata via pec dal difensore del ricorrente, cui la Prefettura di Rovigo dava riscontro con una nota nella quale venivano rappresentate le difficoltà organizzative conseguenti all’elevato numero di soggetti richiedenti la protezione internazionale, anche a seguito dei recenti avvenimenti bellici, per cui allo stato non risultava possibile l’inserimento del ricorrente in alcuna struttura. Il TAR ha precisato che, poprio con riferimento alla difficoltà di reperire adeguata sistemazione, conseguente al considerevole flusso di extracomuniatri, la stessa normativa, art. 11 D.lgs 142/2015, prevede che nel caso di esaurimento dei posti all’interno delle strutture di prima accoglienza, i richiedenti possono essere ospitati in strutture temporanee di emergenza, ove lo straniero può essere ammesso nell’attesa del trasferimento presso la struttura di prima accoglienza. Sussiste, infatti, un obbligo comunque a carico dell’amministrazione di intervenire, anche in caso di carenza di posti disponibili, attraverso l’individuazione di altre soluzioni, provvisorie, al fine di assicurare in ogni caso i livelli di assistenza in favore dei richiedenti la protezione internazionale, che si trovino in stato di indigenza. Conseguentemente, i giudici amministrativi, pur dando atto delle ragioni logistiche esternate nella nota impugnata, il diniego opposto risulta in ogni caso illegittimo, sussistendo il diritto all’accoglienza manifestato dal ricorrente, dovendo l’amministrazione attivarsi al fine di reperire, in attesa dell’individuazione di posti disponibili, le soluzioni immediate, ai sensi del richiamato art. 11 D.lgs 142/15, per assicurare il livello minimo di assistenza.

 

EspulsioneECtHR, Première Section, arrêt 26 janvier 2023, B.Y. c. Grèce, requête n. 60990/14

La requête concerne le renvoi du requérant, ressortissant turc, de la Grèce vers la Turquie, ainsi que les mauvais traitements qu’il aurait subi par les autorités grecques. Le requérant allègue que ce renvoi a eu lieu sous la forme de disparition forcée, et que, à son arrivée en Turquie, il fut détenu par les autorités turques. Dans les affaires où il existe des versions divergentes des faits, la Cour adopte les conclusions qui, à son avis, se trouvent étayées par la libre appréciation de l’ensemble des éléments de preuve, y compris les déductions qu’elle peut tirer des faits et des observations des parties. La Cour note que les éléments du dossier permettent de constater que le soir du 30 mai 2013, une personne a été placée dans un véhicule appartenant aux autorités grecques.  Le requérant soutient que c’est lui-même qui avait été placé dans ce véhicule. La Cour se penchera donc sur la question de savoir si les éléments du dossier permettent de conclure que c’était le requérant qui était la victime des actes allégués. Toutefois, certains éléments du dossier créent des doutes quant à la présence du requérant dans le véhicule en cause. En effet, rien ne permet d’établir la présence même du requérant en Grèce au moment des faits. En effet, il ressort du dossier que le requérant a communiqué avec les autorités grecques uniquement par l’intermédiaire de ses représentants. En second lieu, aucune autorité publique grecque n’a confirmé, directement ou indirectement, la présence du requérant sur le territoire grec avant son enlèvement allégué. Quant aux témoins oculaires présents, la Cour observe qu’aucun d’entre eux ne connaissait personnellement l’intéressé, de sorte que leurs dépositions ne permettent pas de vérifier si la personne placée dans la voiture en cause était effectivement le requérant. Il s’ensuit que le dossier ne contient aucun autre élément propre à permettre à la Cour de tirer des conclusions des éléments produits devant elle et de la conduite des autorités. Dans les circonstances particulières de l’espèce, la Cour conclut que, si le requérant a présenté sa version des faits, il n’a pas fourni un commencement de preuve à l’appui de cette version, et qu’il n’y a dès lors pas de preuves concrètes et concordantes. Dès lors, il n’y a pas eu violation du volet matériel de l’art. 3 de la Convention. La Cour estime que les conclusions qu’elle a formulées dans le cadre de l’examen du grief du requérant sous le volet matériel de l’art. 3 sont également valables dans le contexte du grief présenté sur le terrain de l’art. 5 de la Convention et que les allégations de l’intéressé ne sont pas suffisamment convaincantes et établies.

 

Detention of childrenECtHR, Second Section, judgement 17 January 2023, Minasian and Others v. Moldova, application no. 26879/17

The case concerned a mother and her three minor children staying lawfully in Moldova after allegedly fleeing persecution in Georgia. The family irregularly crossed the border to Romania, but they were immediately returned to Moldova. The Moldovan Bureau for Migration and Asylum (BMA) then ordered the mother to return to Ukraine, but her children were not mentioned in that decision. All the applicants were subsequently detained.
The ECtHR found that children’s detention was unlawful as the they were not subject to the expulsion decision and all the national courts’ decisions only mentioned them as accompanying their mother. The Court noted that domestic courts made no analysis of whether the detention of children was a measure of last resort, since there was no examination of the children’s situation. Moreover, there was no required analysis of whether detention was appropriate for children, notably in respect of contacts with their peers, recreational and other activities.
In addition, the Court pointed out that Moldova violated art. (4) ECHR in respect of the children. The ECtHR observed that while the mother was able to challenge her detention, the children could not do so due to the lack of legal basis. Consequentily, they were in a legal limbo for more than a month without an effective remedy at their disposal and their detention or release completely depended on their mother’s legal situation.

 

DetentionECtHR, Second Section, judgement 17 January 2023, Daraibou v. Croatia, application no. 84523/17

The case concerned a Moroccan applicant, who was detained in a Croatian police station together with three other migrants. One of them supposedly set fire which caused death of three migrants and serious injuries to the applicant. During this tragic incident, two guards were responsible for surveillance. One of them faced disciplinary sanctions, but no criminal proceedings were initiated. On the contrary, Croatia started criminal proceedings against the applicant, which was stopped as the applicant was expelled to Morocco. The Court stated that the authorities could not have known that there had been a real and immediate risk that the applicant and other detainees would try to set fire or injure themselves. On the other hand, the police should have been expected to take certain basic precautions to minimise the risk of grave accidents in respect of the individuals held in their custody, who as such were in a particularly vulnerable position. The Court found, however, that there had been serious shortcomings in the search and supervision of the detainees in the present case. Firstly, how had detainees come to possess a lighter which, pursuant to domestic law, should have been taken away from them either on their arrival at the police station or afterwards during monitoring. Furthermore, although a video surveillance system had been in place, it had apparently not been in use at all times; and, the two officers assigned to permanently guard the migrants had eventually left their posts to carry out other duties.  The Court was not in a position to take a final stance on all of the applicant’s allegations because of the insufficient information available. What was clear, however, was that the Bajakovo police station and its personnel had been ill-prepared to deal with the outbreak of a fire.  The Court therefore concluded that the authorities had failed to provide the applicant with sufficient and reasonable protection of his life and limb, in violation of art. 2.  It also held that there had been a further violation of art. 2 as concerned the investigation into the tragic fire. Although the authorities’ initial reaction had been prompt, certain questions – concerning searches and monitoring of detainees, as well as the adequacy of the premises – had been left unanswered and no attempt had been made to establish whether there had been broader institutional shortcomings which could have prevented similar errors in the future.

 

Protezione internazionaleCGUE, Terza Sezione, sentenza 12 gennaio 2023, P.I. c. Lituania, causa C-280/21

La Corte ha stabilito che l’art. 10, par. 1, lett. e), e par. 2, della direttiva 2011/95/UE (“Direttiva Qualifiche”) dev’essere interpretato nel senso che la nozione di “opinione politica” comprende i tentativi di un richiedente protezione internazionale di difendere i suoi interessi patrimoniali ed economici personali con mezzi legali contro soggetti non statali che agiscono con modalità illecite, qualora questi ultimi – a causa dei legami che intrattengono con lo Stato interessato attraverso la corruzione – siano in grado di strumentalizzare l’apparato repressivo nazionale a danno di tale richiedente (nella misura in cui tali tentativi siano percepiti dai responsabili della persecuzione come un’opposizione o una resistenza su una questione inerente a tali responsabili o alle loro politiche e/o ai loro metodi).

 

EstradizioneCGUE, Grande Sezione, sentenza 22 dicembre 2022, S.M. c. Germania, causa C-237/21

Secondo la Corte di Lussemburgo, il diritto dell’Unione (specificamente gli artt. 18 e 21 TFUE) impone a uno Stato membro richiesto da uno Stato terzo dell’estradizione c.d. “esecutiva” di un cittadino di un altro Stato membro che vi risiede permanentemente di cercare attivamente di procurarsi il consenso dello Stato terzo affinché la pena sia eseguita sul proprio territorio (come previsto dal suo diritto interno per i cittadini nazionali), utilizzando tutti i meccanismi di cooperazione e di assistenza in materia penale di cui esso dispone nell’ambito delle sue relazioni con detto Stato terzo. Se detto Stato terzo acconsente a che la pena sia eseguita nel territorio dello Stato membro richiesto, quest’ultimo è in grado di consentire al cittadino dell’Unione oggetto della domanda di estradizione e con residenza permanente nel suo territorio di scontarvi la pena inflittagli nello Stato terzo, autore della domanda di estradizione, e di garantire un trattamento identico a quello riservato ai propri cittadini. In una fattispecie del genere, l’applicazione di tale misura alternativa all’estradizione potrebbe anche permettere allo Stato membro richiesto di esercitare le proprie competenze in conformità agli obblighi convenzionali che lo vincolano al suddetto Stato terzo. Infatti, il consenso di tale Stato terzo all’esecuzione, nello Stato membro richiesto, della totalità della pena interessata dalla domanda di estradizione potrebbe rendere superflua l’esecuzione di tale domanda. Tuttavia, se questo consenso non è ottenuto, detto Stato membro può procedere all’estradizione della persona interessata, conformemente agli obblighi su di esso incombenti in applicazione della Convenzione europea di estradizione, dal momento che il rifiuto di una simile estradizione non consentirebbe di evitare il rischio di impunità di tale persona. In un caso del genere, poiché l’estradizione della persona interessata costituisce, alla luce di tale obiettivo, una misura necessaria e proporzionata, la restrizione al diritto di circolazione e di soggiorno derivante dall’estradizione ai fini di esecuzione di una pena è giustificata. Nondimeno, lo Stato membro richiesto deve verificare che siffatta estradizione non pregiudicherà la tutela sancita all’art. 19, para. 2, della Carta di Nizza contro qualsiasi rischio serio che la persona in oggetto sia sottoposta, nello Stato terzo autore della domanda di estradizione, alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

 

Maternità surrogata Corte di cassazione, Sezioni Unite civile, sentenza 30 dicembre 2022, n. 38162

Le Sezioni Unite Civili decidendo su questione di massima di particolare importanza, relativa alla trascrivibilità in Italia dell’atto di nascita di un bambino nato in Canada attraverso la pratica della gestazione per altri – cui aveva fatto ricorso una coppia omoaffettiva di cittadini italiani uniti in matrimonio presso tale Stato estero con atto successivamente trascritto in Italia nel registro delle unioni civili – hanno affermato che: la pratica della gestazione per altri, quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane; ciò esclude la automatica trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero, e “a fortiori” dell’originario atto di nascita, nel quale sia indicato quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, oltre al padre biologico, anche se l’atto di nascita è stato formato in conformità della “lex loci”; che, nondimeno, anche il bambino nato ricorrendo alla gestazione per altri ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale. La Corte ha, inoltre, rilevato che la sentenza della Corte costituzionale (n. 33 del 2021) non ha determinato alcun vuoto normativo: si tratta di una decisione di c.d. inammissibilità-monito, e non di illegittimità costituzionale, con la quale la Consulta riscontrando una situazione di insufficiente tutela del preminente interesse del minore, ha riconosciuto che spetta al circuito legislativo il compito di adeguare la normativa vigente in materia di adozione in casi particolari, al fine di garantire tutela effettiva all’interesse del minore e tradurre in atti normativi la coscienza sociale su temi di tale rilevanza politico-sociale. In attesa dell’auspicabile intervento del legislatore, la giurisprudenza non è fonte del diritto e, pertanto, deve limitarsi a valutare in sede interpretativa quali sono i termini di operatività della clausola generale dell’ordine pubblico nella fattispecie concreta. Le Sezioni Unite rilevano che, nell’attesa dell’intervento, sempre possibile ed auspicabile, del legislatore, il giudice, trovandosi a dover decidere una questione relativa allo status del figlio di una coppia omoaffettiva, non può lasciare i diritti del bambino indefinitamente sospesi, ma deve ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione idonea ad assicurare, nel caso concreto, la protezione dei beni costituzionali implicati, tenendo conto delle indicazioni ricavabili dalla Corte costituzionale. Quest’ultima ha infatti riconosciuto l’ineludibile esigenza di assicurare al minore, nato dalla pratica di gestazione per altri, i medesimi diritti degli altri bambini è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. d), della l. n. 184 del 1983, in quanto, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello “status” di figlio, al legame di fatto con il “partner” del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita.

 

Cittadinanza Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 27 dicembre 2022, n. 11512

Può accedere alla regolarizzazione il cittadino straniero che, dopo l’inoltro dell’istanza e prima della sua definizione, ha fatto ritorno nel Paese di origine per assistere il padre morente ed è rientrata in Italia mesi dopo il decesso di costui a causa delle restrizioni dovute alla pandemia. L’ipotesi, infatti, giustifica un’eccezione all’obbligo di permanere sul territorio nazionale che, nel rispetto delle finalità della normativa sull’emersione, è necessaria a garantire i diritti fondamentali della persona, non implicando di certo l’assenza di volontà dello straniero ricorrente di permanere sul territorio italiano in modo stabile e continuativo. Nulla, a tal proposito, disciplina l’art. 103, d.l. n. 34 del 2020, ma non è revocabile in dubbio che una interpretazione della normativa che tenga in debito conto la tutela di un diritto fondamentale dell’individuo risulti prevalente rispetto ad una interpretazione restrittiva. L’interpretazione costituzionalmente (e comunitariamente) orientata, pertanto, non è in contrasto con lo spirito della norma.

 

Trattenimento TAR Lombardia, sezione I, sentenza 2 gennaio 2023, n. 0001

Il TAR ha annullato il provvedimento con il quale la Prefettura di Milano ha respinto l’istanza dell’Associazione NAGA – Organizzazione di Volontariato per l’assistenza sociosanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti (ODV NAGA) – che aveva richiesto di effettuare una visita ad un determinato CPR di Milano – sulla scorta del parere negativo, espresso dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno. Secondo il Ministero dell’Interno, tra i fini di solidarietà sociale individuati nello statuto dell’ODV NAGA, non sarebbe specificamente indicato quello di tutelare i richiedenti la protezione internazionale; in ogni caso, l’ODV NAGA non avrebbe stipulato con il Ministero dell’Interno o con la Prefettura accordi di collaborazione per lo svolgimento di attività assistenziale, necessari per essere autorizzata ad accedere nei centri di identificazione ed espulsione. Il Collegio ha ritenuto che l’ODV NAGA, la quale non risulta aver stipulato accordi di collaborazione né con il Ministero dell’Interno né con la Prefettura, rientri nel novero di quei soggetti che aspirano ad accedere nei CPR per specifiche ragioni, le quali – a differenza che per tutti gli altri soggetti individuati in base all’appartenenza a specifiche categorie – devono essere esplicitate nell’istanza di accesso al CPR e valutate dall’Amministrazione in relazione alle specifiche esigenze di tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e della corretta gestione amministrativa del centro. Nella richiesta inoltrata dall’ODV NAGA alla Prefettura di Milano, le ragioni a sostegno dell’istanza di accesso di una propria delegazione nel CPR di Milano sono state sufficientemente individuate nelle “finalità di garanzia e tutela dei diritti dei cittadini stranieri ivi trattenuti” e nelle “finalità di monitoraggio e di ricerca“, con particolare riferimento ai richiedenti protezione internazionale, mediante allegazione della pregressa attività di consulenza ed assistenza legale già svolta dall’associazione presso detto centro. Quanto al difetto di legittimazione dell’ODV NAGA, il TAR ha osservato che il Ministero dell’Interno ha omesso di accertare se l’attività dalla stessa svolta sia in concreto rivolta alla tutela dei richiedenti protezione internazionale, ritenendo che la mancata stipulazione di accordi internazionali sia, di per se stessa, circostanza idonea a precludere la valutazione della pregressa attività svolta presso il CPR individuato, in particolare di quella relativa all’apertura di uno sportello di consulenza e di assistenza legale per le persone ivi trattenute e per i loro familiari.  La Prefettura ed il Ministero avrebbero dunque dovuto esperire un’adeguata istruttoria sull’attività in concreto svolta dall’ODV NAGA in favore dei richiedenti protezione internazionale senza arrestarsi ad un’interpretazione restrittiva dei fini associativi contenuti nello statuto, il cui generico riferimento alla difesa ed alla garanzia dei diritti dei cittadini stranieri non consente di escludere che tra essi non possano essere ricompresi anche i “titolari di protezione internazionale”.

 

Cittadinanza TAR Lazio, sezione Prima ter, sentenza 30 dicembre 2022, n. 17882

Ai fini della concessione della cittadinanza italiana, il TAR ha affermato che l’amministrazione è tenuta all’esame scrupoloso delle condizioni personali, economiche e familiari, della condotta e stile di vita dell’interessato, che devono risultare rispettosi delle regole di convivenza civile del nostro ordinamento, a tutela dell’interesse pubblico al corretto e stabile inserimento dello straniero nel tessuto sociale italiano e che non arrechi danno allo straniero stesso. Pertanto, l’Amministrazione non solo deve tenere conto dei fatti penalmente rilevanti esplicitamente indicati dal legislatore, ma deve valutare anche l’ambito della loro prevenzione e, più in generale, della prevenzione di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale. L’interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante, sotto il profilo dell’apporto lavorativo e del rispetto delle regole del paese stesso e, sotto quest’ultimo profilo, legittimamente l’indagine deve essere estesa ai componenti del nucleo familiare del richiedente. Laddove detta indagine abbia esito positivo, emergendo fattispecie penalmente rilevanti a carico dei componenti del nucleo familiare convivente, essa non può comportare un automatico giudizio di mancata integrazione del richiedente nella comunità nazionale, rimanendo in capo all’Amministrazione l’obbligo di verificare in concreto che la concessione della cittadinanza non possa recare danno alla comunità nazionale. Tale verifica non è stata effettuata nel caso di specie dall’Amministrazione, che si è limitata a negare la concessione dello status sulla scorta della sola emersione del precedente penale a carico del figlio del ricorrente. Detto precedente penale non è stato valutato nella sua oggettiva consistenza e rilevanza, né nel provvedimento impugnato dinanzi al Tribunale amministrative, né, tantomeno, nelle memorie difensive depositate in giudizio dal Ministero, il quale si è limitato a dedurre la “gravità e del disvalore sociale dei fatti contestati al figlio convivente, indice di una scarsa adesione ai valori del nostro ordinamento giuridico”.

 

Emersione TAR Toscana, sezione II, sentenza 28 dicembre 2022, n. 1544

In tema di regolarizzazione ex art. 103, d.l. n. 34/2020, è illegittima la prassi adottata dalla Prefettura di Firenze secondo la quale, ai fini del calcolo del reddito dei datori di lavoro che richiedono la regolarizzazione di lavoratori stranieri, debbano essere considerati anche i redditi dei congiunti entro il secondo grado ex art. 9 D.M. 27 maggio 2020, ma scorporando da questi ultimi una quota ritenuta necessaria al sostentamento della famiglia dei congiunti medesimi. Questa soluzione non trova infatti riscontro nel dato normativo, che non opera simili distinzioni, cosicché accettarla equivarrebbe a dar luogo a discipline differenziate sul territorio nazionale in corrispondenza delle diverse scelte operate dalle singole Prefetture e andar contro la chiara ratio seguita dalla norma di legge e dal DM cui essa rinvia, che è quella di un ampio favor nei confronti della regolarizzazione dei lavoratori stranieri nei settori interessati.

 

Permesso per soggiornanti di lungo periodo TAR Sicilia, sezione II, sentenza 23 dicembre 2022, n. 3738

È illegittimo il provvedimento che nega il rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo sul rilievo che la dislessia da cui era affetta la ricorrente straniera non costituisce una grave limitazione alla capacità di apprendimento e, pertanto, non rientra tra le cause di esonero dallo svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana cui è subordinato il rilascio del titolo, senza che tuttavia risulti in forza di quali accertamenti medici ovvero pubblicazioni scientifiche di settore l’Amministrazione sia giunta a tale conclusione. Infatti, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo, l’art. 9 del d.lgs. 286/98 richiede allo straniero “in ogni caso, il superamento, da parte del richiedente, “di un test di conoscenza della lingua italiana le cui modalità di svolgimento sono determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca” (comma 2-bis). L’art. 1, co, 3 del D.M. del Ministro dell’Interno 4.6.2010 (recante modalità di svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana), prevede inoltre che “le disposizioni del presente decreto non si applicano: […] b) allo straniero affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o da handicap, attestate mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica”. Ciò posto, osserva il giudice amministrativo che le difficoltà fisiche, che potrebbero impedire lo svolgimento dell’esame (quali ad esempio limitazioni agli arti) non sono prese in considerazione dalla sopra citata norma quali esimenti dall’obbligo di dimostrazione della conoscenza della lingua italiana, mentre la stessa è chiara nell’escludere esclusivamente i soggetti affetti da patologie che limitano l’apprendimento linguistico, come la dislessia, la quale è intesa nella letteratura medica quale disturbo specifico dell’apprendimento che si manifesta con una difficoltà nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura.

TrattenimentoECtHR, First Section, judgement 9 February 2023, R.M. and Others v. Poland, application no. 11247/18

The case concerns the placement and detention of the first applicant and her three minor children for a period of approximately seven months in a closed centre for foreigners pending their deportation to Russia. The applicants never received the Border Guard’s applications for the prolongation of their detention; only were they informed orally that such proceedings were initiated. The Court was not convinced that the legal basis and the legal and factual reasons for detention were sufficiently explained in those circumstances, so that the applicants had a fair opportunity to challenge the legality of detention before the court. Next, finding a violation of Art. 5(4) of the Convention (right to liberty and security of person), the ECtHR relied on a pre-trial detention case – Osvath v. Hungary. In Osvath, an even higher procedural standard was applied: the ECtHR stated that Hungary did not deliver to the applicant prosecution’s motions on his detention, adding that he could not appear in person before the court when the prolongation of his detention had been decided. Consequently, Artt. 5(1)(f) and 5(4) of the Convention have been found violated. Polish government admitted that Art. 8 (right to private life) of the Convention has been violated too.

 

Accordo di associazione CEE-Turchia CGUE, Prima Sezione, sentenza 9 febbraio 2023, Paesi Bassi c. S. & E.C. c. Paesi Bassi, causa C‑402/21

La Corte ha precisato che l’art. 13 della Decisione n. 1/80 del consiglio di associazione  CEE-Turchia – il quale stabilisce che gli Stati membri e la Turchia non possono introdurre “nuove restrizioni” sulle condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione – deve essere interpretato nel senso che esso può essere fatto valere da cittadini turchi che sono titolari dei diritti di cui all’art.  6 o all’art. 7 di tale decisione. Precisamente, l’art. 6 stabilisce che il lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro ha i seguenti diritti: i) rinnovo, in tale Stato membro, dopo un anno di regolare impiego del permesso di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, se dispone di un impiego; ii) candidatura, in tale Stato membro, ad un altro posto di lavoro, la cui regolare offerta sia registrata presso gli uffici di collocamento dello Stato membro, nella stessa professione, presso un datore di lavoro di sua scelta, dopo tre anni di regolare impiego, fatta salva la precedenza da accordare ai lavoratori degli Stati membri della Comunità; iii) libero accesso, in tale Stato membro, a qualsiasi attività dipendente di sua scelta, dopo quattro anni di regolare impiego. L’art. 7 della medesima decisione dispone che i familiari che sono stati autorizzati a raggiungere un lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro hanno il diritto di rispondere – fatta salva la precedenza ai lavoratori degli Stati membri della Comunità – a qualsiasi offerta di impiego, se vi risiedono regolarmente da almeno tre anni; inoltre, essi beneficiano del libero accesso a qualsiasi attività dipendente di loro scelta se vi risiedono regolarmente da almeno cinque anni. Infine, la Corte ha precisato che i cittadini turchi che, secondo le autorità nazionali competenti dello Stato membro interessato, rappresentano una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse della società, possono far valere l’art. 13 della soprammenzionata Decisione per opporsi all’applicazione, nei loro confronti, di una nuova restrizione, ai sensi di tale disposizione, che consente alle suddette autorità di revocare il loro diritto di soggiorno per motivi di ordine pubblico.

 

Protezione umanitaria Cass. civ., Sezione Prima, sentenza 3 febbraio 2023, n. 3393 

In tema di protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, anteriore all’entrata in vigore del d.l. 4.10.2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 132/2018, ove sia allegata e documentata una situazione di sfruttamento lavorativo di cui sia stato vittima il cittadino straniero, il giudice del merito, con piena cognizione, è tenuto ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti stabiliti dall’ art. 18 D.L.gs 286/98, in combinato disposto con l’art. 27 del regolamento di attuazione del T.U.I., nonché di quelli previsti dall’art.22, comma 12 quater d.lgs.286/1998, inserito dall’art. 1, co. 1, lettera b), del d.lgs. 109/2012, nel testo vigente ratione temporis applicabile nella specie, alla luce delle acquisizioni istruttorie fornite dalla parte, inclusi gli accertamenti eseguiti in sede penale, in particolare, quanto al regime protettivo dettato dal comma 12 quater cit., dovendosi richiedere, oltre alla condizione di particolare sfruttamento lavorativo, solo in via alternativa, e non cumulativa, la denuncia del cittadino straniero e la sua cooperazione nel procedimento penale a carico del datore di lavoro.

 

Protezione temporaneaTribunal Supremo de España, Sala contencioso, Sección V, sentencia 21 de diciembre de 2022, n. 1726

El caso se refiere a una solicitante ucraniana de protección internacional que abandonó su país debido a la guerra y a su temor a ser reclutada para el servicio militar. Sin embargo, su solicitud fue denegada. El Tribunal de Primera Instancia ha confirmado esta decisión declarando que, en general, el servicio militar no da lugar a la concesión de asilo y que es poco probable que sea llamada a filas. En primer lugar, el Tribunal ha declarado el interés objetivo de formar jurisprudencia sobre el modo en que la Orden española PCM/170/2022 afecta a la situación de los solicitantes de asilo. De hecho, esta Orden extiende la protección temporal, mencionada en la Decisión de Ejecución 2022/382 del Consejo, a las personas afectadas por la guerra contra Ucrania. El Tribunal Supremo ha sentenciado que esta Orden es aplicable a los nacionales ucranianos que se encontraban irregularmente en España antes del 24 de febrero de 2022 y que no pueden regresar a Ucrania a causa de la guerra. Por lo tanto, la demandante se beneficia del régimen de protección temporal que incluye la prohibición de refoulment. Sin embargo, el Gobierno español ha afirmado que la demandante no solicitó la protección temporal. A este respecto, el Tribunal Supremo declaró que el carácter excepcional de la situación hace que los ucranianos residentes en España puedan acogerse inmediatamente al principio de non-refoulment, sin necesidad de presentar una solicitud. Para no ser expulsados, basta con reconocer su nacionalidad y que la solicitante haya manifestado su deseo de beneficiarse de la protección. Así pues, el Tribunal Supremo ha declarado que la demandante tiene derecho a una protección temporal.

 

Protezione speciale Tribunale di Bologna, Sezione immigrazione civile, ordinanza 4 febbraio 2023, n.r.g. 10625/2022

Il Tribunale di Bologna si è pronunciato in merito al valore da attribuire alla ricevuta di avvenuta presentazione della domanda di permesso per protezione speciale, presentata direttamente al questore e non con la procedura della protezione internazionale. Riconducendo a unità l’intero sistema di protezione offerto dall’ordinamento a chi rischia la violazione di diritti fondamentali della persona umana (non solo in caso di protezione internazionale, ma anche speciale) e dunque sotto l’ombrello dell’art. 10, co. 3 della Costituzione, i giudici bolognesi hanno affermato che «la ricevuta della domanda di protezione speciale [….] ha valore di permesso di soggiorno provvisorio ai sensi dell’art. 4 D.L.vo 18 agosto 2015, n. 142». Secondo il Tribunale, pertanto, non vi è ragione per cui a chi richiede la protezione speciale con domanda diretta al questore non debba riconoscersi il diritto al rilascio del permesso di soggiorno provvisorio analogo a quello per richiedenti protezione internazionale.

 

RespingimentoECtHR, First Section, judgement 2 February 2023, Alhowais v. Hungary, application no. 59435/17

The applicant is a Syrian national who lives in Leipzig (Germany). On 1 June 2016 the applicant, along with his brother and some other individuals including an Iraqi family, crossed the Tisza River from Serbia to Hungary by boat, with the aid of smugglers. The applicant alleges that Hungarian border guards forced them to turn back towards Serbia. His brother was later found drowned. Relying on Art. 2 (right to life), Art. 3 (prohibition of inhuman or degrading treatment), the applicant complains of the death of his brother and of the conduct of the police in returning him to Serbia. He also complains of a lack of an effective investigation into these allegations. The ECtHR first noted that the Hungarian Prosecutor opened a criminal investigation on the ill-treatment by the police officers, but the investigation disregarded important elements of the operation and did not provide any assessment on the State’s responsibility to protect the right to life, in violation of Art. 2.
Moreover, the ECtHR ruled that the Prosecutor’s decision to discontinue the investigation was based to a significant extent on oral testimonies and contradictions in the migrant’s statements concerning the factual circumstances of the incident. Consequently, these deficiencies limited the investigation and undermined its effectiveness led to a violation of Art. 3 of the Convention.  In addition, the Court stated that Hungary failed to respect the substantive aspect of Art. 2. In assessing whether Hungary satisfied its positive obligations, the Court noted that Hungary had sufficient knowledge to evaluate the dangers of the river-crossing and organise their border operations accordingly. However, Hungarian Government did not have organised operations in place as officers did not follow an operational plan when search and rescue situations arose. The Court therefore concluded that the authorities did not do everything that is reasonably expected to avoid a real and immediate risk to life which they knew was liable to arise. Moreover, the Court stated that Hungarian authorities did not take operational measures which could have been reasonably expected of them to protect the brother’s life once they received information about one of the migrants being in distress.

 

Regolamento Dublino CGUE, Decima Sezione, sentenza 16 febbraio 2023, L.G. c. Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid, C‑745/21

La Corte ha stabilito che l’art. 16 (1) del Regolamento Dublino non si applica quando esiste un rapporto di dipendenza o tra un richiedente protezione internazionale e il suo coniuge legalmente residente nello Stato membro in cui è stata presentata la domanda di una siffatta protezione, o tra il nascituro di tale richiedente e tale coniuge che è anche il padre di detto minore. Inoltre, la Corte ha sancito che l’art. 17 (1) del Regolamento Dublino non osta a che la normativa di uno Stato membro imponga alle autorità nazionali competenti, per il solo motivo attinente all’interesse superiore del minore, di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da una cittadina di un paese terzo qualora quest’ultima fosse in stato di gravidanza al momento della presentazione della sua domanda, sebbene i criteri enunciati da tale regolamento designino un altro Stato membro come competente per detta domanda.

 

Protezione speciale Tribunale di Milano, Sezione immigrazione civile, ordinanza 9 febbraio 2023, n.r.g. 39151/2022

Secondo i giudici milanesi, del diritto di presentare la richiesta di protezione speciale – anche nella forma di richiesta diretta al Questore – sono titolari tutti gli stranieri presenti sul territorio nazionale, a prescindere dalla posizione giuridica che rivestono (es: siano essi richiedenti asilo per aver formulato specifica istanza di protezione internazionale, o in quanto pende il ricorso avverso un diniego di riconoscimento della stessa emesso dalla competente Commissione territoriale).
Tale quadro, evidentemente, non muta se lo straniero che intenda formulare domanda di protezione speciale rivesta la qualifica giuridica di persona assoggettata alla c.d. Procedura Dublino, per avere formulato domanda di protezione internazionale in altro Stato Membro e in Italia.
Ne deriva l’obbligo per la Questura di ricevere l’istanza e di trasmetterla, unitamente alla documentazione prodotta e ad ogni altra utile informazione, alla Commissione territoriale competente affinchè possa esprimere il parere ed eventualmente segnalare elementi che possano portare al riconoscimento della protezione internazionale affinchè la Questura informi adeguatamente il soggetto richiedente. Pertanto, ogni preventiva decisione da parte della Questura sulla ammissibilità/ricevibilità dell’istanza di protezione speciale si porrebbe in netto contrasto con il dato letterale normativo. Tuttavia, il Tribunale di Milano nel caso concreto ha rigettato il ricorso stabilendo che “appare […] evidente l’assenza di correlazione causale tra l’eventuale adozione di un provvedimento che ordini alla questura di anticipare la data di formalizzazione della domanda e i “beni della vita” ai quali il ricorrente aspira, posto che il provvedimento richiesto avrebbe soltanto l’effetto di anticipare il momento dell’esame della domanda di protezione speciale da parte della Questura ma non ne potrebbe, evidentemente, condizionare l’esito assicurando al ricorrente il corrispondente permesso di soggiorno (né può rivolgersi la domanda diretta all’autorità giudiziaria, in mancanza del preventivo vaglio dell’autorità amministrativa)”.

 

Protezione speciale Tribunale di Firenze, Sezione Protezione Internazionale civile, ordinanza 8 febbraio 2023, n.r.g. 13380/2022

I giudici hanno affermato che il permesso di soggiorno per protezione speciale è rilasciabile anche direttamente dal Questore, al di fuori del percorso di protezione internazionale, così da assicurare tempi di decisione più celeri ed un alleggerimento delle procedure della protezione internazionale. Tale interpretazione si rende necessaria al fine di evitare una ingiustificata disparità di trattamento laddove la protezione speciale, pur avendo natura complementare e presupposti diversi rispetto a quella internazionale, rientra comunque nel cd. diritto di asilo costituzionale ex art. 10, co. 3 della Costituzione. Non vi è una differenza sostanziale tra chi presenta domanda di protezione speciale dinanzi al Questore e impugna il rigetto rispetto a chi si è visto rigettare la domanda di protezione internazionale e complementare dalla Commissione Territoriale e impugni il diniego in sede giurisdizionale solo con riferimento al mancato riconoscimento della protezione speciale; ipotesi quest’ultima per la quale non si dubita che il ricorrente abbia diritto a permanere sul territorio nazionale beneficiando nell’effetto sospensivo automatico, tranne le ipotesi di esclusione normativamente previste. Così come beneficia del diritto a permanere sul territorio nazionale e della possibilità di svolgere attività lavorativa chi abbia presentato domanda reiterata sorretta da nuovi elementi, di fatto o probatori relativi solamente a comprovare il radicamento e l’integrazione sociale, lavorativa o familiare in Italia. Dalla regolarità del soggiorno del richiedente la protezione speciale nelle more del procedimento dovrà discendere anche la possibilità di svolgere regolarmente attività lavorativa. Del resto, tenuto conto che lo svolgimento di attività lavorativa è proprio uno degli indici di integrazione che possono condurre al rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale risulterebbe irrazionale la disparità di trattamento del richiedente a seconda che la domanda di protezione speciale sia stata presentata direttamente al Questore o nell’ambito di una richiesta di protezione internazionale.

 

Protezione speciale Tribunale di Firenze, Sezione Protezione Internazionale civile, ordinanza 3 febbraio 2023, n.r.g. 12135/2020

Il Tribunale ha riconosciuto la protezione speciale a cittadino nigeriano che aveva visto la sua richiesta rigettata dalla Questura di Prato. Il Tribunale ha fondato la sua decisione su diverse osservazioni. In primo luogo, il ricorrente, dalla documentazione prodotta, è risultato essere riuscito effettivamente a stabilizzare la propria posizione lavorativa in Italia, ottenendo un contratto di lavoro a tempo indeterminato. In secondo luogo, anche la sua integrazione sociolinguistica, e con essa la possibilità di stabilire relazioni e scambi nel contesto di vita privata e lavorativa, era stata incrementata, risultando la sua iscrizione ad un corso d’italiano per stranieri. In terzo luogo, è stato considerato il riconoscimento di paternità del figlio, che attualmente vive in Germania con la madre, ed il Certificato di responsabilità genitoriale congiunta assunta da entrambi i genitori. I giudici hanno ritenuto evidente, al riguardo, che tale responsabilità genitoriale congiunta, cui il ricorrente ha dimostrato di volere e poter far fronte, verrebbe completamente vanificata e impedita da un eventuale rimpatrio nel Paese di origine, la Nigeria, dal quale il Tribunale ha escluso ogni possibile e futuro contatto fra padre e figlio (oggi invece possibile nella UE), con altrettanto evidente e grave nocumento di quest’ultimo. Il Tribunale, inoltre, ha evidenziato che il quadro personale del ricorrente che ne deriva deve pertanto ritenersi di sufficiente integrazione sociale e di avviata e soddisfacente integrazione lavorativa, elementi indubbiamente positivi ed in favore della permanenza del ricorrente in Italia. Il Tribunale ha, pertanto, ritenuto che tale situazione non possa essere intaccata dai carichi pendenti a lui relativi e concernenti; trattasi, infatti, di reati che, oltre a non essere ostativi, nel necessario giudizio di bilanciamento non possono sovrastare l’insieme di elementi favorevoli che il ricorrente è riuscito faticosamente a costruirsi.

 

Misure di accoglienza TAR Toscana, Sezione II, sentenza 3 febbraio 2023, n. 114

Il TAR Toscana ha annullato un provvedimento di revoca dell’accoglienza adottato nei confronti di un cittadino nigeriano arrestato, e nel corso del giudizio condannato, per violenza sessuale ai danni di una minore. I giudici amministrativi hanno richiamato la giurisprudenza della CGUE, la quale – dopo avere chiarito che i comportamenti gravemente violenti sanzionabili ai sensi dell’art. 20, para. 4, della Direttiva Accoglienza comprendono anche fatti commessi al di fuori di un centro di accoglienza – ha statuito che la stessa disposizione osta ad una normativa interna che preveda, a titolo di sanzione, la revoca delle condizioni materiali di accoglienza qualora abbia l’effetto di privare il richiedente della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari. A ben vedere, l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 142/2015, alla lett. e) applicata nel caso di specie consente che la revoca dell’accoglienza possa essere disposta in caso di “violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo, compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti”: la disposizione, nella parte in cui prevede la revoca dell’accoglienza quale misura sanzionatoria nei confronti del richiedente protezione internazionale, si pone quindi in contrasto con la citata Direttiva 2013/33/UE come interpretata dalla giurisprudenza comunitaria e deve pertanto essere disapplicata. A seguito della disapplicazione, unico parametro di legittimità del provvedimento impugnato resta la norma di cui all’art. 20, par. 4, della Direttiva accoglienza alla luce della quale lo stesso deve essere scrutinato. Detta norma fonda un potere sanzionatorio degli Stati membri nei confronti dei richiedenti protezione internazionale, i quali compiano i fatti ivi descritti, che non può estendersi fino a comprendere la revoca delle misure di accoglienza. Laddove uno straniero richiedente protezione internazionale appaia pericoloso per l’ordine o la sicurezza pubblica l’Amministrazione non deve procedere alla revoca dell’accoglienza ma valutare la possibilità di disporre il suo trattenimento.

 

Paese terzo sicuroGreek Council of State, preliminary ruling submitted before the CJEU, 3 February 2023 

The Greek Council of State submitted preliminary questions to the Court of Luxembourg regarding domestic legislation designating Turkey as a safe third country for certain categories of applicants for international protection. These preliminary questions include: a) must Art. 38 of the Asylum Procedures Directive be interpreted as precluding national legislation that designates a third country as safe for certain applicants for international protection and that country has undertaken the legal obligation to readmit those categories of applicants to its territory, but it follows that for a long time this country has refused readmissions and that the possibility to change the country’s attitude in the near future does not appear to have been explored? Or, b) must this Article be interpreted as meaning that readmission to the third country is not a cumulative condition for the adoption of the national act designating a third country as safe for these categories of applicants, but it is a cumulative condition for the adoption of an individual act rejecting a specific application for international protection as inadmissible on the ground of ‘safe third country’? Or, c) must Art. 38 be interpreted as meaning that the possibility of readmission to the ‘safe third country’ must be established only at the time of enforcement of the decision, where that decision to reject the application for international protection is based on the ‘safe third country’ ground?