Paliotto di Giovanni Conti con Incoronazione della Vergine, Museo dell’Opera del Duomo, Pisa
© Opera della Primaziale Pisana. Foto dell’Autrice
Opera | Paliotto di Giovanni Conti con Incoronazione della Vergine |
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Datazione | 1325 |
Luogo di produzione | Cipro |
Tecnica di esecuzione | Ricamo a punto steso con filo d’oro e d’argento su seta bianca con supporto in tela grezza; per la resa di alcuni dettagli al filo metallico è stato attorto un filo di seta rosso o blu o verde, applicato a punto raso, erba e catenella |
Misure | 100 x 318 cm |
Iscrizioni | < HU > NC PANNUM DOMINUS FRATER IOHA(N)NES ARCHIEPISCOPUS NICOSIENSIS DEDIT ECCLESIE PISANE PRO ANIMA DOMINE IACOBE M < ATRIS SUE > / ANNO DOMINI MCCCXXV |
Luogo di conservazione | Museo dell’Opera del Duomo, Pisa, Italia |
Descrizione | Il panno serico ricamato, ora al Museo dell’Opera del Duomo, fu offerto alla cattedrale di Pisa nel 1325 dal domenicano Giovanni Conti, a quel tempo arcivescovo di Nicosia sull’isola di Cipro, dove il manufatto fu con ogni probabilità eseguito. La committenza occidentale e la datazione sono attestate dall’iscrizione in latino, oggi mutila a causa della decurtazione subita dal tessuto in epoca moderna ma restituitaci per intero da una trascrizione settecentesca. Vi si apprende che l’opera fu donata in suffragio dell’anima di Giacoma, figlia di Ottone Colonna e defunta madre del prelato, il quale discendeva, quindi, da due potenti famiglie aristocratiche romane, i Colonna e il ramo dei Conti che possedeva il castello di Poli, presso Tivoli. Alla casata dei Conti rinvia, d’altronde, lo stemma con l’aquila araldica che, lungo il bordo superiore del paliotto, si alterna allo scudo con il leone rampante, evocante la dinastia franca dei Lusignano, regnanti a Cipro dal 1192. Rispecchiando quanto dichiarato nell’iscrizione, il committente compare, nel registro inferiore, in un doppio ritratto, ora in abito monastico ora in vesti episcopali, ai lati dell’Incoronazione della Vergine, posta significativamente al centro della composizione. Umilmente, egli si inginocchia al cospetto della coppia divina alla quale è presentato, a sinistra, da san Giovanni Evangelista e, a destra, da san Giovanni Battista, incorniciati, ciascuno, da un’edicola gotica con ghimberga e gattoni che si ripete nel registro superiore inquadrando i santi Paolo e Pietro. Il drappo fu concepito come paliotto (dal latino pallium), termine designante un rivestimento mobile della fronte dell’altare, eseguito in tessuto. Il suo programma iconografico unisce all’immagine della Vergine incoronata, in linea con la dedicazione della cattedrale pisana all’Assunta, le seguenti scene cristologiche e mariane: Annunciazione, Natività di Cristo, Adorazione dei Magi, Presentazione di Gesù al Tempio, Resurrezione, Ascensione, Dormitio Virginis, Pentecoste. L’opera si distingue per il suo carattere fortemente ibrido, dato dalla giustapposizione di elementi bizantini o cristiano-orientali con elementi occidentali, o meglio, gotici. Attribuita nel passato a manifattura pisana o toscana, è oggi ritenuta il prodotto di un atelier cipriota, attivo quindi in un contesto ricco di stimoli e aperto a quello scambio interculturale che fu molto vivace al tempo della dominazione latina dell’isola. Dal punto di vista stilistico, emergono, infatti, affinità con opere pittoriche realizzate sull’isola e improntate alla cosiddetta maniera cypria mentre il ricamo a punto steso, tipicamente bizantino, rivela la sua origine cipriota nell’abbondante uso del filo d’oro per il quale i laboratori tessili locali erano particolarmente rinomati. L’ibridismo del paliotto è ancor più evidente sul piano della sintassi compositiva e dell’iconografia: sono squisitamente gotici l’immagine della Vergine incoronata e le edicole cuspidate che l’affiancano, i pinnacoli e i timpani con gattoni inclusi in alcune delle scene narrative che sono, per la maggior parte, basate su modelli bizantini. La Natività ha, infatti, questa derivazione ma, nel contempo, accoglie motivi occidentali come, ad esempio, i due angeli oranti a mani giunte, il terzo recante il cartiglio svolazzante allusivo all’annuncio della Buona Novella, il suonatore (qui suonatrice) di cornamusa, il cuscino finemente decorato sotto la testa della Madonna; nella sottostante Presentazione al Tempio spiccano, in particolare, l’inserzione dei due accoliti della Chiesa latina, con il capo tonsurato, e la forma del ciborio che imita il cosiddetto tipo ‘a gabbia’ – con un ordine di colonnette sotto il tetto a doppia falda – messo a punto dai marmorari romani nel XII secolo. Nella scena della Resurrezione, la figura del Cristo che scavalca la fronte del sarcofago e si mostra seminudo e con la croce astile si riscontra nell’arte tardo-gotica d’Oltralpe, soprattutto negli avori e nelle miniature francesi più o meno coevi, mentre la sottostante Dormitio Virginis s’ispira allo schema bizantino, pur introducendo delle significative varianti. Le stelle a otto punte con cerchietto centrale sullo sfondo dell’Incoronazione si ritrovano, invece, in alcuni dipinti su tavola prodotti nei Regni crociati, una testimonianza dei contatti culturali fra la Terrasanta e Cipro. Da quest’isola il paliotto approdò a Pisa per una ragione ben precisa: Giovanni Conti era stato a capo dell’arcidiocesi cittadina dal 1299 al 1312; poi passò alla sede di Cipro dove giunse, tuttavia, solo nel 1319, dopo permanenze più o meno lunghe in diverse città italiane e ad Avignone. Le fonti ricordano la sua grande levatura intellettuale, la sua devozione, la sua filantropia e la sua committenza artistica: a Nicosia patrocinò i lavori edilizi alla parte ovest della cattedrale di Santa Sofia, legando il suo nome, senza dubbio, alla costruzione sia del portico, in cui sono scolpite le armi dei Conti e dei Lusignano, sia della cappella di San Tommaso, e si prodigò nell’arredo liturgico della stessa chiesa per la quale fece realizzare tre paramenti in broccato d’oro e un arazzo in seta con il tema, particolarmente diffuso a Bisanzio, della Trasfigurazione di Cristo. Il paliotto di Pisa è l’unica traccia superstite di questa serie di donativi tessili e la sua dimensione transculturale è il frutto dell’incontro fra la poliedrica arte cipriota e la colta personalità di un committente latino. |
Bibliografia principale | Salmi 1931, pp. 389-390; Il museo di Pisa (catalogo), sch. 38, pp. 124-125; Devoti 1986, p. 157; Bacci 2000; Martiniani-Reber 2021, pp. 34-36; Andronikou 2022, pp. 21-22, 158-203, 251-252, 296. |
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Autore/Autrice scheda | SR |